LE NOZZE
Maròn e Giulia si sposarono probabilmente a Drogo il 4 Aprile 1921 con una cerimonia semplice, di campagna.

A quei tempi non si usava il classico vestito da sposa: si cuciva un vestito nuovo e un “zinàl”, una sorta di grembiule che copriva tutto il corpo, da quando si entrava nella casa della suocera. Non si usava nemmeno fare il viaggio di nozze. Ma Giulia e Tommaso lo fecero eccome, andando fino alla spiaggia di Fano a dorso di mulo!

LA VITA insieme
I due sposi andarono a vivere nella casa del padre di Marón, a Ca’Betto. Tommaso lavorava come boscaiolo e bracciante in primavera e estate, mentre in autunno e in inverno si dedicava alla ricerca del tartufo.
Una zona particolarmente ricca dei pregiati funghi era quella di Sassoferrato. Per raggiungerla Marón partiva con il suo cane alle quattro del mattino, imbracciando la sua fedele “roscella”, la tipica vanghetta dei cercatori di tartufo. Una volta arrivato alla stazione di Pergola prendeva il treno in direzione Sassoferrato.
In un giorno poteva percorrere dai 30 ai 40 km a piedi, compreso il viaggio andata e ritorno da Montescatto. Come vi ho detto, era un uomo forte e instancabile: al suo rientro Giulia gli diceva sempre: “Sciatón!” ovvero uno che fatica da morire.
La bisnonna lavorava invece in casa come sarta ed era molto brava. Uomini e donne venivano da lontano per farsi cucire i vestiti da lei. Giulia usava una macchina da cucire a pedale tedesca, la Dürkopp acquistata di seconda mano. Giulia cucì sempre con questa macchina, fino all’ultimo. Tra le tante cose che realizzava c’erano anche materassi di lana, guanciali e “imbottite”, ovvero trapunte di lana.

Le ragazze di vari paesi andavano da lei per imparare il mestiere. A quei tempi le donne dovevano saper fare tante cose, tra cui anche confezionare vestiti: i vestiti già pronti potevano permetterseli infatti solo le famiglie ricche.
Verso la fine del 1921 nacque il loro primo figlio che chiamarono Ferdinando. Il bisnonno sentì dunque l’esigenza di avere una casa tutta loro e decise di acquistare un rudere sotto quella dei suoi genitori.
Iniziò a ristrutturarla insieme al muratore “Checch” di Monte Gherardo. Ricostruì tutti i muri (ce n’erano solo due e parzialmente crollati) cavando la pietra dal “Foss d’Gagialeta” e trasportandola con un biroccio preso in prestito. I “coppi” per i tetti (le tegole), i mattoni per i muri, i “madón” per i pavimenti e le “pianell” per i soffitti (i vari nomi dialettali indicano tipi diversi di mattoni) venivano realizzati dai “Fornaciari”, ovvero i proprietari della Fornace di Tarugo. Per murare usarono la “terra bianca” e non il cemento in quanto non era reperibile in loco. Per intonacare usarono la “calcina” prodotta localmente. Le finestre e il portone, probabilmente, furono realizzate da Ettore d’Brinon (famoso per aver mangiato un etto di pepe per scommessa).

Alla fine il bisnonno realizzò una casetta semplice e bella. A quel tempo nel paese era considerata una casa ”moderna”…. [continua nella parte terza].






